Commissario, il tribunale si riserva, una settimana di limbo. Il Pm Rossi chiede in subordine la custodia dell'azienda
La motivazione per l’uno o l’altro provvedimento, cioè commissariamento o custodia, è sempre la stessa: la pesantissima situazione finanziaria dell’azienda, in particolare l’esorbitante debito col fisco (120 milioni) per chiudere il quale, dice Rossi, non è affatto sufficiente il concordato da 13 milioni di euro di cui parla il presidente Leonardo Pizzichi. Già, Pizzichi, l’uomo sulle cui spalle è caduta la gestione dopo che i Landi si sono progressivamente defilati da via Calamandrei per i loro guai giudiziari e il precipitare della crisi: è lui uno dei protagonisti dell’udienza, che comincia alle undici e mezzo nell’aula estrema al piano terra del palazzo di giustizia, dove ai tempi dell’ospedale c’era il bar. Completo grigio chiaro, capelli a spazzola, il supermanager non si mostra particolarmente emozionato. Lo accompagnano i suoi avvocati, Giovanni Gatteschi e Marcello Catacchini, due esperti del diritto fallimentare. Roberto Rossi, invece, ha a fianco il procuratore capo Carlo Maria Scipio. Ed è un modo per lanciare un messaggio preciso, che sarà poi esplicitato in aula dall’intervento di Scipio: in questa sua richiesta di amministrazione controllata, Rossi non è solo, ha dietro l’intero ufficio della procura e chi lo dirige.
Nell’oretta che segue, a porte chiuse, coi giornalisti che aspettano fuori, non si parla molto dei numeri già contenuti nella relazione che accompagna l’istanza di commissariamento. Il Pm produce alcune carte nuove e ne sottolinea altre. Entra nel fascicolo innanzitutto un fax dell’agenzia delle entrate di Firenze nel quale si specifica come i 13 milioni di cui parla Pizzichi non chiudano l’intero debito di 120 milioni ma solo una parte modesta di esso. Fuori dall’ipotesi di accordo resterebbero un’ottantina di milioni, una quarantina dei quali sarebbero già a ruolo, non più oggetto di contenzioso. D’altronde, nella relazione che accompagna il sequestro preventivo dei beni aziendali (custode è stato nominato proprio Pizzichi) deciso dalla commissione tributaria, si parla esplicitamente di un indice di indebitamento che è di tre volte superiore al limite di pericolosità fiscale e di un indice di solvibilità che è la metà del parametro minimo.
La gestione di Eutelia, spiega la procura, continua ad essere pesantemente passiva per il peso degli oneri finanziari che premono (l’esposizione con le banche è di 50 milioni, il residuo del ramo It di 35, il capitale sociale è ridotto a 7 milioni ), la perdita mensile di esercizio assai consistente. Pizzichi e i suoi avvocati non stanno lì in aula solo a prenderle. Ribattono coi loro argomenti: al fisco niente dobbiamo al di là del concordato da 13 milioni, anche se è vero che non c’è ancora una fideiussione (una garanzia cioè) da presentare all’agenzia delle entrate a tutela di un eventuale accordo. C’è però un’offerta irrevocabile d’acquisto per un asset non strategico di Eutelia e ci sono soprattutto i dossier con i quali alcuni manager e i relativi partner finanziari si propongono per sottoscrivere l’aumento di capitale necessario a rinsanguare Eutelia. Se ne occupa l’advisor Gilberto Gabrielli.
Poi le parole sono finite, restano solo quelle dei giudici, che sfilano via in silenzio. Se ne vanno senza commentare anche Roberto Rossi e il procuratore Scipio. Pizzichi si ferma invece a parlare coi cronisti. Ostenta sicurezza, parla dell’assemblea per l’aumento di capitale fissata al 25 giugno. Ma prima c’è da saltare l’ostacolo dell’insolvenza, dell’amministrazione controllata, dei commissari. Un tappone dolomitico, che ha per giudice di gara il tribunale.
Salvatore Mannino